Byzanz & der Westen. 1000 vergessene Jahre (Bisanzio e l’Occidente. Mille anni dimenticati) è il titolo della mostra inaugurata il 16 marzo nel castello di Schallaburg, vicino a Melk, nel nord dell’Austria.
Schallaburg è anche il nome della società che gestisce la struttura per incarico del Bundesland Niederösterreich e che programma a cadenza annuale le mostre e gli eventi che si tengono lassù, in quella che pur chiamandosi Bassa Austria risulta essere, almeno al mio occhio, il nord della nazione.
Le mostre e gli eventi prodotti dalla Schallaburg Kulturbetriebsges godono dei cospicui investimenti statali in cultura. Tali eventi, per consolidata tradizione, tendono ad essere “inclusivi”, ovvero hanno un occhio di riguardo per il pubblico più giovane ed eventualmente meno esperto, al quale intendono rivolgersi con linguaggio semplice anche (soprattutto) nel caso di temi complessi come questo della storia dell’impero bizantino.
Da parte mia, malgrado l’idea stessa di mostra per famiglie mi faccia rizzare i peli sulla schiena, un po’ come “letteratura per ragazzi” e “linguaggio semplice”, ho aderito con entusiasmo al progetto, dietro invito e mediazione dello studio Gruppe Gut di Bolzano che si è aggiudicato la cura dell’allestimento. Ho lavorato giorno e notte, da ottobre a febbraio, senza fermarmi nemmeno a Natale o Capodanno. Ho letto, preso appunti e disegnato avvolto in un’aura di luce, ispiratissimo soprattutto dagli spassosi codici in greco medievale su pergamena che trovavo alle 3 e un quarto di notte su internet o sul voluminoso brief fornitomi dagli esperti austriaci.
C’è da dire che in questi disegni ogni cosa è illuminata dalla capace e paziente cura scientifica di Dominik Heher, giovane archeologo bizantinista che ha verificato la pertinenza di ogni singolo dettaglio delle mie composizioni.
L’incarico prevedeva la realizzazione di un bel numero di illustrazioni “non naturalistiche” sul tema, a supporto e integrazione dei testi curati dallo studio viennese Zunder Zwo che, nelle persone super competenti di Martina e Renate, mi diceva volta per volta cosa andava e cosa non andava bene.
La raffigurazione in formato gigante di undici città portuali del Mediterraneo, scelte fra quelle maggiormente interessate dall’influenza di Bisanzio, è stata piuttosto lunga e complicata: io stesso avevo proposto di rappresentarle molto liberamente per mezzo di un accumulo/stratificazione di simboli ed eventi storici. Occorreva dunque scegliere, elencare, studiare, disegnare e montare decine di fonti iconografiche – non sempre chiare e univoche, come succede nella materia storiografica – e accostarle senza soluzione di continuità a vedute e oggetti contemporanei, in uno scenario diacronico che non risultasse una brodaglia illeggibile.
Clicca sulle figure per vedere il totale.
Le undici città stampate su tela sono state disposte lungo il bellissimo portico cinquecentesco del castello.
All’interno del percorso le illustrazioni, o parti di esse in varie forme e montaggi, segnano le fasi più significative del rapporto fra Bisanzio e l’Occidente. L’esposizione segue un ordine cronologico, dal quinto al quindicesimo secolo.
In chiusura due sale sono dedicate alla proiezione e sonorizzazione delle mie città , animate in alcuni dettagli (navi che navigano, voli di uccelli ecc.).
Sotto la supervisione dello studio Zunder Zwo e del professor Heher ho illustrato anche un booklet di 32 pagine che racconta al pubblico più giovane i mille anni di storia con l’ausilio di giochi, disegni da fare e domande a cui rispondere mentre si segue il percorso della mostra.
La grafica è dei ragazzi di Gruppe Gut.
I visitatori possono ricostruire la sequenza di alcuni eventi cruciali anche giocando a un game che è stato progettato e realizzato dal professor Heher con lo studio Clever Contents di Vienna.
Alla realizzazione della mostra Byzanz & der Westen, durata circa un anno e mezzo per 8 mesi di apertura, ha lavorato uno staff di 40 persone fra curatori scientifici, art directors, grafici, architetti, redattori, amministratori ecc. L’età media è (direi, a occhio) sotto i 40 anni, con una decisa prevalenza di donne nei ruoli di maggiore responsabilità (cosa vuol dire questo? Non lo so, ma è così).
In Austria fa freddo, è tutto grigio, non si capisce niente di quello che dicono, le strade sono troppo pulite, il vento soffia forte verso destra e il caffè è un insulto. In più viaggiare è un’attività sopravvalutata, gli aeroporti sono tutti uguali così come le stazioni, i bar e la gente con valige al seguito. Non si scopre niente, non si impara niente, non si conosce nessuno. La digitalizzazione online di biglietti, scontrini, orari, segnaletiche e persino sguardi non aiuta. Tutt’altro. È solo una gran rottura di coglioni.
Non ci volevo andare, in Austria. Chissà che palle. Qua è primavera e c’è da fare in campagna.
Invece è stato bello, interessante, gratificante e a tratti stupefacente. Ho conosciuto molte persone che mi hanno trattato come fossi davvero quello che in realtà ho poi scoperto di essere, almeno ai loro occhi. Cioè il misterioso illustratore che dalla sua isola ha fornito un punto di vista mediterraneo a una mostra che parla di quello, ma è stata pensata e fatta lontano dal mare.
La lunga e fascinosa teoria di codici pergamenacei, oggetti preziosi e icone dorate che si snoda per le sale del castello di Schallaburg è nient’altro che uno specchio della volontà , della necessità di raccontare il perenne viaggiare, spostarsi, conoscere, scontrarsi, abbracciare, riconoscere, mistificare, millantare, imbrogliare, vendere, comprare, regalare, morire e rinascere che si perpetua su quella gigantesca strada blu che ho qui a due passi, mentre scrivo (anche se non la vedo, amici austriaci, perché c’è il monte Bardia di mezzo e poi – volevo dirvelo ma mi vergognavo – sono un illustratore di montagna che di mare non ne sa poi molto).
Segue un elenco di nomi a cui va la mia amicizia e riconoscenza.
Judit Zeller, la magnifica responsabile generale che non lo sa, ma mi ha aiutato molto spedendo via mail al momento giusto parole lusinghiere sul lavoro, quando il lavoro lo stavo ancora facendo e c’era ben poco da lusingare.
Dominik Heher, uno dei due curatori scientifici (l’altro è il professor Falko Daim, storico medievista di fama), che ha risposto con pazienza e precisione alle mie domande più stupide (sui vestiti dei soldati bizantini, sulle misteriose iscrizioni delle monete di Cartagine ecc.), il tutto in un italiano impeccabile.
Martina Affenzeller e Renate Woditschka, che con Konrad Zirm guidano lo studio Zunder Zwo e hanno guidato me per le acque perigliose di questa avventura, indicandomi la rotta e mostrando grande rispetto per il mio lavoro (e i miei tempi) mentre fingevano di capire cosa dicevo, quando gli parlavo in un inglese fatto in casa.
Kurt Farasin, art director supremo di Schallaburg, che mi ha scarrozzato per una settimana intera su e giù per il Wachau, dentro l’Abbazia di Melk, nei meandri di Schallaburg, lungo il Danubio e nei boschi adiacenti raccontandomi tutto, ma proprio tutto*, della storia, dell’arte, della gente, del lavoro e del paesaggio.
Uli Prugger, gentile e sempre disponibile progettista/art director di Gruppe Gut, col quale ho potuto parlare di ogni cosa nei momenti difficili: dei dubbi, delle difficoltà e anche del disegno a mano libera. Uli e Monica sono stati inoltre la compagnia ideale per una gita nel Wachau ricca di sorprese, meraviglia e temperature polari.
Alfonso Demetz, l’altra metà di Gruppe Gut, che mi ha gentilmente evitato un paio di figurine alla presentazione della mostra, accompagnandomi sul palco per qualche selfie davanti alla mia Costantinopoli.
I ragazzi di Gruppe Gut, in particolare Daniela che ha fatto un eccellente lavoro con l’impaginazione del catalogo, e Werner che ha fatto da traduttore per una memorabile sessione di disegno tenutasi nei locali della biglietteria di Schallaburg.
Infine Friederike Nesweda, la timida e brava ceramista della cripta di Schallaburg, che mi ha accolto a casa sua per un provvidenziale tè, versato nelle tazze celesti che poi mi ha regalato. Ed è stato un bel regalo anche poter disegnare due pescetti su una tavola di argilla che aspetto di vedere cotta a puntino.
Vielen Dank! Bis bald!
(*) In ordine sparso, ho appreso di asini di terracotta con morale ancestrale (Schallaburg, le formelle), di giardini storici e giardinieri altrettanto storici (Schloss Hof e l’esperto da Toronto), di monaci morti e abati vivissimi (l’Abbazia di Melk e Norah), di sit-in antinucleari con lieto fine (Brigitte e la centrale), di spedizioni etologico/romantiche in Sardegna (Kurt, Brigitte e la gallina prataiola), di vigneti modernissimi proprio perché antichissimi (il Wachau e il Riesling), di veneri callipigie, sia preistoriche (Willendorf) che contemporanee, di zuppe d’aglio selvatico con uovo di quaglia e di inconoscibili enormi pesci con barbigli del Danubio (Weissenkirchen e il ristorante Slowfood), di comparti museali all’avanguardia (Krems e Gottfried), di esondazioni per niente dannose (il Danubio e il Löss), di disegnatori satirici geniali e maledetti (Manfred Deix, i gatti e gli acquerelli), di nuove mostre sul lavoro manuale (Der Hände Werk e Richard Sennett), di fantastiche imprese archeo-musicologiche (Susanne e l’organo a canne), di tartarughe timide, cervi nobili, gufi piccolissimi, lepri occasionali. E ancora di farnie, carpini, cedri, olmi, tigli e cure boschive.